Tratto dal testo di Gilbert Keith Chesterton
pubblicato in Italia da Raffaelli Editore
a cura di Marco Antonellini
traduzione e adattamento di Annalisa Teggi
messa in scena a cura di Otello Cenci
interpretato da Massimo Popolizio
voce solista Eleanor Shanley
presenza scenica e voce Laura Palmeri
in collaborazione con Chesterton Institute
Cento anni fa, nel 1911, G.K. Chesterton si sveglia improvvisamente nel cuore della notte a seguito di un sogno e scrive di getto questo poema che riscuote enorme successo e fa nascere uno stuolo di ammiratori entusiasti, tra cui lo storico Christopher Dawson e gli scrittori Grahm Greene e C.S. Lewis, autore delle Cronache di Narnia e e del personaggio di Berlicche. La storia, scritta per il popolo, per essere letta in lunghe serate attorno al camino, è ambientata nella Valle del Cavallo Bianco, luogo nel quale il leggendario re Alfred sconfisse gli invasori danesi nel nono secolo. “…La notte sarà tre volte più buia su di te e il cielo diventerà un manto d’acciaio. Sai provar gioia senza un motivo, dimmi, hai fede senza una speranza?” “…la tempra del guerriero come quella del prete: lanciare i propri cuori oltre le certezze / per guadagnare ciò che il cuore desidera.” Questi sono alcuni dei versi evocativi che, interpretati dall’attore Massimo Popolizio, accompagneranno gli spettatori, insieme a grandi immagini e musica, in un viaggio lungo il pendio della White Horse Hill, nel Sud dell’Inghilterra, per rivivere una storia lontana che illumina il presente. All’inizio del XX secolo, quando in ambito artistico letterario si andava definendo l’immagine di una modernità fatta di uomini vuoti o smarriti, dall’identità che vacillava tra nessuno e centomila, Chesterton volse gli occhi ad un passato remotissimo per poter parlare di un uomo vivo. In questo senso la parola attualità riceve un significato profondo e pieno: non è la semplice informazione sui fatti dell’ultima ora, ma l’annuncio che, dentro il tumulto della storia, la tradizione di ogni popolo preserva, custodisce e trasmette quel nocciolo di evidenze fondamentali che nutrono l’umanità, ricordando agli uomini di essere dei viventi. Chesterton compie due scelte importanti: sceglie di raccontare la vicenda di re Alfred basandosi sulle leggende, e non sulla storiografia, e sceglie di raccontarla nella forma della ballata. Entrambe sono scelte pensate per parlare al popolo: la leggenda, anche quando inventa, è per Chesterton un messaggio vero, nel senso che parla di un tratto umano distintivo in cui il popolo si riconosce e di cui lascia traccia nella memoria collettiva, tramandando il racconto di quelle personalità, come re Alfred, in cui tale tratto ha brillato in modo fulgido.«Si fa presto a creare una storia, ma non è facile evocare la storia di un eroe. Quando ne esiste una, possiamo essere assolutamente certi che ci troviamo di fronte ad una personalità storica magari avvolta dal mistero, ma sicuramente autorevole » (G. K. Chesterton, Alfred il Grande). E la ballata è la forma per eccellenza del racconto popolare, è il canto che raccoglie l’intera tribù attorno al fuoco. Ma, avverte subito l’autore, quella di Alfred non è una favola: la grande battaglia, di cui egli fu protagonista per difendere la sua terra dagli invasori Danesi, parla all’uomo di oggi di una battaglia eterna e quotidiana per sostenere la certezza che il Creato è una cosa buona. L’intero poema è un canto che ridisegna il significato della parola ‘speranza’, allontanandola dal regno delle illusioni e radicandola nella libera partecipazione creativa che l’uomo possiede fin dall’alba dei tempi.