FRANCO BRANCIAROLI
LA NOTTE DELL’INNOMINATO
Con Franco Branciaroli
Nell’animo del più feroce personaggio della letteratura ottocentesca esplode un nuovo desiderio scatenato dallo sguardo tremante di Lucia Mondella. Quelle povere parole imploranti pietà si conficcano nell’animo dell’Innominato fino a condurlo sull’orlo di una vera e propria rivoluzione. Come in una strana liturgia delle ore, Franco Branciaroli dà corpo e voce al dramma Manzoniano che ben indaga l’animo umano inspiegabilmente attratto dal bene e dal vero. La lotta è titanica, la disperazione si affaccia più volte nella notte, ma al mattino una campana porta una novità inaspettata ma forse a lungo attesa. La notte di Lucia nell’orribile castello dell’Innominato non è solo la notte del voto alla Madonna. È una notte di angoscia indicibile che rischierebbe di annientarla se non avesse il conforto della fede che fa fiorire la speranza. È inevitabile soffermarsi un attimo su questa notte così travagliata per osservare quanto sia pulsante di vita e reale questa situazione di gravissima ingiustizia: anche nella nostra disastrata società accadono delle situazioni altrettanto drammatiche; ma generalmente il dramma si trasforma in tragedia, cioè in una situazione senza speranza, perché nella maggior parte dei casi non vi è una personalità veramente cristiana che lo sappia affrontare. Ebbene Lucia, l’umile paesana del ’600, vive il tutto non come tragedia, ma come dramma; la sua persona infatti è pienamente protagonista della situazione, cui reagisce con dignità vera perché cosciente di una potenza superiore che ha in mano il cuore degli uomini e le cui vie sono imprevedibili. Di diverso tenore è l’angoscia mortale della notte dell’Innominato. Espletate velocemente tutte le incombenze serali, il padrone del castello si affretta a raggiungere la sua stanza, quale agognato rifugio al tormento che lo assilla. Quel tormento ha il volto di
Lucia. Cerca allora rifugio nel ricordo di qualche sua nefandezza, ma lungi dal rinfrancarlo, destava in lui invece una specie di terrore, una non so qual rabbia di pentimento. E così il pensiero tornava a Lucia, alla quale almeno avrebbe potuto far del bene liberandola. Ma tale decisione non basta ad acquietarlo; e la mente lo conduce a ripercorrere tutta la sua odiosa vita di soprusi inflitti ad innocenti. A questo punto il corso dei suoi pensieri prende una nuova direzione: “Se quell’altra vita di cui mi hanno parlato quand’ero ragazzo, di cui parlano sempre, come se fosse una cosa sicura; se quella vita non c’è; se è un’invenzione de’ preti; che fo io? Perché morire? Cos’importa quello che ho fatto? Cos’importa? É una pazzia la mia… E se c’è questa vita?”. Tutt’a un tratto, gli tornarono in mente le parole che aveva sentite e risentite, poche ore prima: “Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia”. Ed è proprio l’imprevisto che lo strappa alla disperazione: sul far dell’alba ecco uno scampanio, un allegro vocio, gente che allegra si dirigeva tutta verso una comune meta. Tutta quella festa era… per un uomo! Per vedere un uomo! Quell’uomo è il Cardinal
Federigo che completerà l’opera così pazientemente orchestrata da Dio nell’anima dell’Innominato.